Comprensione del Disturbo di
Panico (Attacchi di Panico)
il disturbo di Panico si presenta
come una reazione improvvisa
dell'organismo con evidenti sintomi
neurovegetativi i quali possono
spaventare fortemente la persona che si trova
a viverli. La preoccupazione
del primo attacco è sovente quella
di trovarsi in presenza di una
malattia, di un infarto o comunque
di qualcosa di terrificante che non
si conosce.
L'attacco di panico può quindi provocare
una sensazione molto intensa di
ansia e angoscia e sembra quasi
impossibile che si possa trattare di un
problema di natura "psicologica".
In realtà
l'organismo è un complesso processo
che definiamo "psicofisiologico" e un disturbo
di panico, seguendo le linee guida
della nostra teoria emotocognitiva, è una
risposta fisiologica autonoma
dell'organismo legata a un
incremento di attivazione del
sistema generale. Abbiamo più volte
suggerito che per una migliore
comprensione del fenomeno sarebbe
utile prendere
dimestichezza con i termini
"psicofisiologico" o "organizzazione
psicofisiologica" che dovrebbero
sostituire l'anacronistico termine
"mentale" legato al concetto di
disturbo. Per questo parleremo
spesso di disturbo
dell'organizzazione psicofisiologica
anziché di disturbo mentale oppure di
processi psicofisiologici per
parlare dell'unità dell'organismo
come sistema funzionalmente
organizzato.
La Prima Crisi d'Ansia nel Disturbo
di Panico
"Un fulmine a ciel sereno!". E' così
che arriva un attacco di panico.
Improvvisamente, senza che la
persona se lo aspetti. E' una
sensazione intensa, terrificante,
imponente, associata spesso a paura
di impazzire o di morire. Dal nulla
viene e nel nulla, dopo qualche
minuto o al massimo poche decine di
muniti, sparisce, lasciando una
intensa sensazione di paura e
preoccupazione. Il primo attacco è
quasi sempre il peggiore. Possiamo
pensare di essere sul punto di
morire, di avere un infarto, una
malattia grave oppure, in alcuni
casi, si può pensare a una malattia
sconosciuta. Comunque è una reazione
neurovegetativa davvero forte, difficile
da comprendere per chi non l'abbia
realmente provata. Moltissime
persone, correttamente, si recano o vengono portate
al pronto soccorso, dove, escluse
condizioni mediche o effetti di
sostanza e accertato che si tratti
di una crisi d'ansia, vengono
liquidate con qualche goccia di
ansiolitico e con una pseudo-rassicurazione
del tipo "è stata solo una crisi
d'ansia" o "è stato solo un attacco di
panico". Queste rassicurazioni "è
stato solo [...]" di certo non
tranquillizzano realmente la persona
che ha vissuto qualcosa di
assolutamente reale dal punto di
vista somatico e di certo non
sminuibile in "è stato solo...".
"Cosa è successo?", "Perché è avvenuto?",
"Perché Ora?". Queste sono le
domande più comuni. Inizia così il
calvario di chi soffre di un
disturbo da attacchi di panico. Si
inizia ad avere paura che si possa
ripresentare improvvisamente. "E se
mi trovassi
in auto?", "se capitasse in un
luogo affollato dove non può
arrivare facilmente un soccorso?",
"e se succedesse in un posto isolato
dal quale potrebbe essere difficile o
imbarazzante allontanarsi?", "e
se mi capitasse in un posto isolato e
mi trovassi solo?". Domande
di questo tipo rivelano la presenza
di una forte ansia anticipatoria
ormai nota a tutti come "paura della
paura" e che in psicologia
emotocognitiva definiamo "paura
della sofferenza primaria". Le paure
anticipatorie sono pressoché
infinite. Molte persone iniziano
così a mettere in atto comportamenti
di evitamento. Le prime cose alle
quali si rinuncia in genere sono i
mezzi di trasporto pubblici
soprattutto la metropolitana, ovvero
tutti quei luoghi dai quali potrebbe essere difficile
allontanarsi in caso di crisi
d'ansia. Non sempre il soggetto
comunque evita le situazioni, va ben
specificato, alcune persone fanno
sostanzialmente tutto ma vivono ogni
azione con enorme sforzo, con
estremo disagio e fatica. Uno sforzo
che, con il passare del tempo, può
produrre forme depressive
secondarie, sensazione di non
farcela più. La paura porta
all'aumento dello stato
di tensione sistemica incrementando
la percezione di ansia e, a un
certo punto, potrebbe arrivare il
secondo attacco di panico. Dobbiamo
precisare che il primo attacco
potrebbe essere del tutto
transitorio se la persona non
tentasse di controllarlo o di
prevenirlo e lo vivesse come una
normalissima reazione fisiologica
dell'organismo, anche se appare
angosciante.
Dal Secondo Attacco alla Conferma
del Disturbo
Lo stato di apprensione, definito
ansia anticipatoria ma si tratta di
ansia vera e propria ovviamente, generato dal
primo attacco, produce un incremento
di tensione sintomo-specifica che,
in psicologia emotocognitiva,
abbiamo scoperto essere proprio la
causa a monte dell'insorgenza
dell'attacco stesso. I sintomi del
panico, secondo la nuova ottica
proposta dalla nostra teoria
emotocognitiva, sono tentativi
autonomi dell'organismo di liquidare
questi stati di tensione. Dopo
il primo attacco, a causa di legami
associativi operati dal sistema
nervoso centrale, la tensione viene
associata all'idea stessa della
crisi d'ansia (tensione
sintomo-specifica). La tensione
incrementata dall'ansia anticipatoria
del soggetto potrebbe produrre il
secondo attacco che, lo ricordiamo,
può presentarsi nel soggetto sia
dopo
pochi giorni di distanza dal primo,
sia dopo diversi mesi.
E' proprio il
secondo attacco che ha il più alto
valore patogenetico e può determinare
la genesi di un vero e proprio
disturbo: il disturbo di panico. Il secondo
attacco, infatti, conferma la
principale paura: "può capitare
ancora!". A questo punto l'ansia di
un possibile futuro attacco aumenta e potrebbe così arrivare
il terzo attacco e così via.
Ricordiamo che molto spesso il
soggetto non vive continui episodi
di panico ma vive con la sensazione
costante che potrebbe accadere di
nuovo. Questo è infatti il vero
problema alla base del distubro.
Si inizia a temere la paura
stessa, si ha paura di poter provare
quella sensazione terrificante e
angosciante di perdita di controllo,
spesso accompagnata da paura di
morire o di impazzire, che può
essere correlata al timore di
imbarazzo in caso di attacco o alla
preoccupazione di non avere "ancore
di salvezza". La paura non è tanto
quella dell'attacco in sé ma, come
sostiene la psicologia
emotocognitiva, della sofferenza
primaria (Baranello, 2006b)
associata alla crisi d'ansia.
Evitamento, Sopportazione,
Controllo nel
Disturbo di Panico
Tra le persone che soffrono di
attacchi di panico la maggior parte
mette in atto dei comportamenti e
delle azioni che implicano
generalmente evitamento (evitare
luoghi o situazioni a rischio e
spostamenti) oppure azioni di
prevenzione come portare farmaci con
sé, bottigliette d'acqua, o farsi
accompagnare.
La vita della persona viene
organizzata intorno al disturbo e ai
sintomi correlati e di conseguenza
anche la vita di chi sta vicino a
una persona che soffre di attacchi
di panico è necessariamente
condizionata.
Vengono ridotti spostamenti e
viaggi, vengono evitate, modificate
o ridotte specifiche situazioni
sociali, lavorative (o scolastiche),
vengono evitate o ridotte anche attività un tempo
considerate piacevoli e così via. Si
entra in ciò che la psicologia
emotocognitiva definisce loop
disfunzionale (Baranello, 2006a),
ovvero un circolo vizioso fatto di
tentativi di risolvere lo stato
d'ansia e la preoccupazione associati
alla presenza degli attacchi. Questi
tentativi generalmente falliscono
ovvero non risolvono definitivamente
il problema. Il soggetto si inizia a
sentire incapace e impotente e
soprattutto non capiti dalle persone
vicine che vivono il problema come
se fosse risolvibile con qualche
rassicurazione o con la forza
volontà del soggetto, mentre nella
realtà non è così.
Chi non l'ha vissuto davvero non si
può rendere conto di quanto sia
terribile e invalidante.
La persona che soffre di attacchi di
panico sa
perfettamente tutto, riconosce il
problema, sa che dovrebbe essere più
tranquillo, sa che si tratta di un
attacco di panico e non di una
malattia. L'unica cosa che non sa
e che vorrebbe sapere, è
"IL COME FARE" per stare tranquillo,
il COME FARE per risolvere il
problema.
E' qui che interviene la psicologia
emotocognitiva, nel fornire
strumenti pratici e concreti su come
fare.
Chi sta vicino alla persona che
soffre di attacchi d'ansia può
utilizzare diverse strategie (in
genere fallimentari nel loro
complesso) per tranquillizzare,
rassicurare o cercare di spronare.
Ovviamente essendo il disturbo
qualcosa che prescinde dalla volontà
del soggetto, ovvero si presenta
senza che la persona possa fare
nulla per prevenirlo realmente, ogni
tentativo di rassicurazione da parte
degli altri è destinato a far
sentire la persona che ne soffre
sempre più impotente e non capita.
Anche il soggetto con diagnosi di
disturbo da attacchi di panico cerca
spesso rassicurazione credendo che
così possa arginare il problema,
gestirlo o tenerlo sotto controllo.
La verità è che i sintomi più
imponenti nel corso della vita
tendono ad attenuarsi ma la
sensazione di ansia non sparisce.
Questo fa credere alla persona di
aver imparato almeno in parte a
gestire il problema o aver accettato
la convivenza con il disturbo.
Spesso le strategie adottate da chi
soffre di disturbo di panico sono
varie. Può farsi accompagnare in
caso di situazioni importanti o
nelle quali è necessaria la sua
presenza, può
chiamare il partner, un familiare,
un amico, un medico o uno psicologo
quando si è in presenza della paura
di un attacco o con un attacco in
corso, ma anche questo è destinato a
fallire. Altre tecniche in genere
fallimentari sono legate all'uso di
farmaci ansiolitici , di
tisane rilassanti, di rimedi
naturali vari o di tecniche di
respirazione e rilassamento. Questi
metodi in genere non funzionano
nella soluzione del disturbo anche
se, li per li, sembra possano
attenuare in parte i sintomi.
Purtroppo la sensazione che possano
permettere la gestione dei sintomi
produce un effetto di dipendenza il
quale è alla base proprio del
mantenimento del disturbo nel lungo
periodo.
Molti pazienti dichiarano di non
prendere farmaci ma di portarli sempre con
sé in caso si dovesse presentare un
attacco. Di nuovo il valore
patogenetico del farmaco (cioè
quello di sviluppare e mantenere i
sintomi anziché curarli) è dato non
tanto dal trascurabile effetto
chimico ma da un complesso effetto
organizzativo psicofisiologico.
Infatti portare con sé un farmaco
conferma psicologicamente alla
persona che potrebbe averne bisogno
confermando di conseguenza l'idea di
avere un problema o di essere
malato. Questo processo attiva dei
sistemi nell'organismo che generano
le tensioni sintomo-specifiche che
sono alla base dell'insorgenza del
disturbo di panico e dei disturbi
dell'organizzazione psicofisiologica
in generale.
Tutto ciò che si fa per cercare di
risolvere il problema in modo
diretto sembra fallire. Questo è ben
spiegato dalla teoria emotocognitiva
per la quale le condotte che
falliscono sono tutte quelle tese a
risolvere in modo diretto un sintomo
o a prevenirlo e che modificano
nettamente lo stile organizzativo della persona. Per la psicologia
emotocognitiva di Baranello sia l'azione di evitamento che al suo opposto lo
sforzo di esporsi o di sopportare
hanno lo stesso esito patogenetico.
In questo la teoria emotocognitiva
si distingue nettamente dalle teorie
cognitive, comportamentali o
strategiche, come è molto distante
dalle teorie psicoanalitiche o dagli
strumenti di tipo psichiatrico. Per
la teoria emotocognitiva infatti il
vero evitamento della persona è
sulla "sofferenza primaria", una
sofferenza psicofisiologica
associata direttamente alla
modificazione neurovegetativa che,
per definizione, è funzionale e non
rappresenta il vero problema.
Per questo abbiamo
realizzato nel 2006 un originale
quando rivoluzionario schema
educativo definito "ABC
emotocognitivo" che, integrato con
il nostro concetto del "loop
disfunzionale" permette al clinico e
al paziente di capire il
funzionamento psicofisiologico ed
organizzativo della persona e quindi
portare l'organismo verso una
riabilitazione spontanea, senza
tecniche di esposizione, senza
indagare il passato, senza
psicofarmaci e senza psicoterapia ma
con mezzi prettamente educativi
focalizzandosi sul qui-e-ora in
grado di agire su tutte quelle
convinzioni errate che sono alla
base del mantenimento di un disturbo. Lo
schema ABC emotocognitivo e il
concetto di "loop
disfunzionale" hanno cambiato
nettamente l'ottica sul
funzionamento psicofisiologico umano
e oggi molti psicologi e psichiatri
parlando di tali concetti anche al
di fuori della teoria emotocognitiva
di Baranello dai quali essi sono
nati. Una vera e propria rivoluzione
copernicana della psicologia che, da
una psicologia filosofica, si sta
sempre più muovendo verso una nuova
psicologia scientifica.
Sintomi Somatici Correlati
ad Ansia e Panico
Spesso i pazienti che soffrono di
disturbo da attacchi di panico hanno
una tendenza al controllo che
rappresenta il nucleo centrale delle
modalità di organizzazione della
propria vita. Tale tendenza al
controllo, secondo i principi della
teoria emotocognitiva, genera
aumento tensivo generale che può
portare a reazioni definite
classicamente psicosomatiche anche
piuttosto importanti. Sono frequenti
sintomi a livello gastro-intestinale
come gastriti, intolleranze
alimentari, coliti, si possono
evidenziare herpes simplex recidivi,
herpes zoster, contratture
muscolari, dolori muscolari (fibromialgie)
che interessano colonna, distretti
cervicali e lombari, molto spesso
abbiamo notato presenza di bruxismo
(serrare o digrignare i denti),
presenza di alterazione del ritmo
sonno-veglia, sindrome delle gambe
senza riposo, cistiti croniche,
candidosi recidive, sintomi di natura
sessuale (nelle donne dolori
mestruali, ciclo mestruale
irregolare o eccessivamente
abbondante, in entrambi i sessi
dolori durante il rapporto sessuale,
problematiche prestazionali, ecc.).
Nel trattamento psicologico degli
attacchi di panico il professionista
della salute terrà
in considerazioni tali eventuali
alterazioni correlate. Dalla nostra esperienza
clinica in ambito psicologico il
trattamento del disturbo d'ansia di
tipo riabilitativo porta ad una
riduzione significativa spontanea
anche dei sintomi correlati, quando
essi ovviamente siano di tipo
funzionale e non dovuti ad una
condizione medica generale. |